La mostra del nostro Centro Studi Il confino politico ad Ustica nel 1926-1927- “Immotus nec iners” sarà presentata in anteprima a Torino in collaborazione con Istituzioni e Istituti scolatici nell’ambito di una più vasta attività con incontri, presentazione di libri e proiezioni sul tema "Dalla Resistenza (1943-1945) alla Costituzione (1946-1948)". L'esposizione nella capitale piemontese si articolerà in due fasi: la prima dal 24 Febbraio, con inaugurazione alle ore 9.00, presso l'Istituto Tecnico Industriale e Liceo Scienze Applicate “Peano” in Corso Venezia 29; la seconda dal 9 Marzo al Museo del Carcere in Via Borsellino 3. rappresenterà il Centro Studi il consigliere Felice Longo.
La mostra curata da Vito Ailara e Massimo Caserta è frutto di lunghe ricerche e approfondimenti sostenuti da qualificate collaborazioni. Il sottotitolo della mostra “Immotus nec iners” sintetizza l’atteggiamento dei confinati politici che hanno affollato l’isola a partire dal 1926 e che hanno saputo trasformare l’esperienza confinaria in una occasione di crescita culturale e politica che sta alla base di quella grande alleanza antifascista che portò alla Liberazione e alla costruzione costituzionale della Repubblica italiana.
52 pannelli illustrano non solo le vicende e le attività che si susseguono ma anche l’isola degli anni Venti nei suoi aspetti fisici e sociali, un microcosmo improvvisamente diventato laboratorio politico e culturale. Corredano i pannelli una sorta di antologia tematica di brani tratti da lettere e testi dei protagonisti che quelle esperienze hanno vissuto.
La mostra sarà esposta sull’isola nei locali del Centro Studi a partire dal prossimo marzo e resterà aperta al pubblico per l’intero anno.
Il confino politico a Ustica nel 1926-27 "Immotus nec iners"
Tra i confinati comuni inviati sull’isola sin dalla sua colonizzazione del 1763 erano sempre stati presenti i “politici”: i nemici dei re e i contestatori degli aumenti delle tasse del periodo borbonico, i patrioti del Risorgimento, i renitenti alla leva del nuovo stato unitario, gli anarchici di fine Ottocento, gli oppositori delle guerre coloniali, i deportati libici.
Fino al 1926 i politici, rispetto ai coatti comuni, costituivano una minoranza ma con l’approvazione delle leggi “fascistissime” emanate quell’anno la loro presenza diventerà più consistente sino a soppiantare quella dei confinati comuni. Ne transiteranno circa 600, facendone una «selva di campanili».
Il tentativo di emarginazione e di “espulsione” dalla società attiva voluto dal regime attraverso il confino finì però per essere occasione di incontro, discussione e confronto fra i politici di ogni ideologia ed estrazione sociale, una vera e propria convention dell’opposizione. Il confino fu, infatti, una fondamentale esperienza costruttiva. La convivenza forzata fra persone di cultura, di idee politiche, di classe, di religione diverse, che forse non si sarebbero mai neppure incontrate, finirà, infatti, con il porre le basi della grande alleanza antifascista che, iniziata nelle carceri e nei luoghi di relegazione del regime, contribuì alla crescita dello spirito democratico nel Paese: un vero e proprio laboratorio di formazione politica e civica.
Tra lo stupore degli isolani e l’insicurezza degli agenti di polizia Gramsci e Bordiga, arrivati nei primi del dicembre 1926, impiantano una scuola e poi i confinati politici organizzano la vita sociale: biblioteca pubblica, mense, spacci, attività sportive (calcio, bocce, water-polo), assistenza nella prima sistemazione e altro.
Questo modello di vita confinaria originale e straordinario è un vero controsenso che testimonia quanto il regime abbia sottovalutato le conseguenze della scelta del confino politico: un vero e proprio boomerang, in quanto luogo di aggregazione e di formazione delle coscienze dell’antifascismo. Allorquando, tardivamente, il regime ne prenderà coscienza, inventerà l’esistenza di un complotto a fini eversivi con la complicità di stati stranieri per smantellare la colonia usticese trasferendo i confinati a Ponza e a Lipari, dove alcune di queste iniziative vennero riproposte, anche se queste subiranno eccessi di limitazione e di controllo poliziesco.
Il rapporto della popolazione locale con i confinati politici è eccellente: alcuni Usticesi ospitano i politici nelle loro case e ne subiscono l’influenza. I giovani sono affascinati dalle intelligenze e le ragazze incontrano amori non contestati dai familiari.
Questa mostra si propone di recuperare alla memoria collettiva e di restituire alle giovani generazioni alcuni frammenti di una pagina importante della nostra storia locale e nazionale, com’è, appunto, quella del confino di polizia dell’epoca fascista: una vicenda contrassegnata da forti passioni e da grandi ideali e che può anche essere il racconto di tante vite spezzate solo per affermare un diritto, diremmo quasi sacro, qual è quello della libertà di pensiero.
Le fotografie provenienti da archivi pubblici e privati, i documenti e le testimonianze scritte dai protagonisti di quella singolare vicenda, pur nella loro incompletezza, ci permettono di conoscere meglio, attraverso una ricostruzione cronologica e tematica, i luoghi, i personaggi, gli eventi, i momenti e le atmosfere della vita confinaria a Ustica negli anni Venti, nonché alcuni aspetti del contesto ‘fisico’ e sociale isolano in cui essa si venne ad inserire. Un microcosmo, cioè, che era, in quegli anni, improvvisamente diventato quella sorta di laboratorio politico e culturale. Vengono riproposti i volti, le testimonianze e, più in generale, la particolare e intensa esperienza, politica e umana insieme, che i documenti a nostra disposizione hanno reso possibile. Uomini e donne, quelli del confino antifascista e delle carceri del regime, molti dei quali riverseranno unitariamente il loro straordinario patrimonio politico e ideale, maturato anche attraverso l’esperienza narrata dalla mostra, nella lotta di Liberazione e nella vita dell’Italia repubblicana.
Mario Genco, Il “museo” delle storie quotidiane
