Grande accoglienza è stata riservata a Torino alla nostra mostra Il confino politico a Ustica nel 1926-1927. Presentata il 24 febbraio scorso all'Istituto Industriale Statale "G. Peano" è stata visitata da scolaresche coinvolgendo numerosissimi visitatori. Hanno affiancato la mostra numerose manifestazioni collaterali dedicate al periodo delle lotte partigiane con la presenza di testimoni, oggi in età molto avanzata, che contribuirono con il loro sacrificio alla liberazione dal nazifascismo. La ricorrenza della Festa della Donna, l’8 Marzo, ha costituito un’altra commovente occasione di racconti e riflessioni sui molteplici ruoli che le donne svolsero in quei travagliati momenti, attivissime nella Resistenza, nella Costituente -ben 21 protagoniste vi erano impegnate- e nella ricostruzione post-bellica. Particolarmente toccante l'intervento della Prof.ssa Maria Chiara Acciarini, ex senatrice, in ricordo del nonno Filippo Acciarini, antifascista collaboratore de "L'ordine Nuovo" e redattore de "L'Avanti", catturato dai fascisti e deportato a Mauthausen e deceduto in quel lager nel 1944.
Il prossimo 19 marzo la mostra sarà ospitata dal Museo del Carcere Le Nuove, via Borsellino, 3 Torino, sito di grande interesse storico e polo museale di notevole pregio. Nell’antico istituto di pena, inaugurato nel 1870 e rimasto in funzione fino al 1986, durante il ventennio fascista, rimasero reclusi oppositori del regime, partigiani ed ebrei. Famigerato fu il braccio tedesco, gestito dalle SS, dove venivano torturati i detenuti.
La mostra sarà inaugurata sabato 19 Marzo p.v. alle ore 17,00 con la partecipazione del nostro consigliere Felice Longo, in rappresentanza del nostro Centro Studi, del prof. Felice Tagliente, direttore del Museo del Carcere di Torino, e del Prof. Walter Crivellin presidente del Centro Studi Giorgio Catti.
La mostra rimarrà aperta al pubblico dal 19 marzo al 2 aprile 2016.
La mostra fotografica La Pistata delle lenticchie è stata esposta a Ustica nei locali del Fosso nel 2001. Autore delle foto è l’usticese Bruno Campolo, che con la sua passione per la fotografia e per la sua isola natia si è reso testimone attento a cogliere gli ultimi documenti della vita contadina, ora in profonda trasformazione tecnica, contribuendo a salvarne la memoria; autori dei testi sono Nicola Longo, socio fondatore del Centro Studi, agronomo usticese, e la figlia Margherita, titolari di un’azienda agricola specializzata nella produzione di lenticchie. I sessantaquattro pannelli della mostra hanno voluto essere un omaggio ed un segno di gratitudine alla civiltà contadina usticese. Con essa si è voluto proporre al pubblico il valore antropologico e culturale di un rapporto speciale tra l’uomo e la terra ed un documento fedele ed efficace per non disperdere nell’oblìo la tecnica di coltivazione della lenticchia di Ustica.
Nel contempo si è voluto anche dare risalto ad un alimento un tempo fondamentale nella dieta dei nostri contadini e ad un legume molto richiesto nel mercato, ed esportato con successo: un prodotto, quindi, di grande valenza economica per gli isolani. La pistata, operazione conclusiva del ciclo lavorativo della coltivazione del legume, consiste nella frantumazione all'interno dell'aia dei piccoli baccelli e dell'intera pianta ormai essiccata, nonché nella successivaspagghiata al vento per la separazione della paglia dalle lenticchie ed infine nella cirnutacon l'apposito grande setaccio circolare detto crivu. La lenticchia di Ustica (Lens culinaris Medik) è coltivata nell’isola fin dai tempi della sua colonizzazione. Il suo pregio è dovuto alla natura del terreno vulcanico ed alle sue piccolissime dimensioni, oltre che alla tenerezza, al gusto intenso ed al profumo nella fase di cottura. Seminata tra dicembre e gennaio con l’aiuto di un asino e di un aratro di ferro, la lenticchia necessita di cure particolari.
Con piccole zappette (zappudda) viene eseguita in marzo la zappuliataper eliminare le erbe infestanti: un’operazione faticosa fatta in gruppo secondo una vecchia usanza di cooperazione (aiutu p’aiutu). Le piante di lenticchie si raccolgono con molta cura nella prima metà di giugno estirpandole manualmente nelle primissime ore mattutine o, addirittura, nelle notti di luna piena, quando i baccelli ancora umidi per la rugiada trattengono il seme e restano attaccati alla pianta. Essiccate al sole (caliàte), le pianticelle vengono sparse nell’aia per essere schiacciate (ammansate) da asini spronati a correre al suo interno. Agli asini subentrano le mucche che, appaiate con un giogo, trascinano la pietra di pistariper la rottura dei baccelli. Quando i baccelli sono tutti rotti, ha inizio la spagghiata per separare il legume dalla paglia sfruttando il vento, né lieve perchè altrimenti non avverrebbe la separazione della paglia, né forte, perché porterebbe via anche il legume.
La spagghiàta coinvolge più addetti che, governando con maestria il tridente di legno, sollevano in alto lenticchie e paglia per espellere quest’ultima fuori dell’aia. Segue la paliàta, utilizzando una pala di legno al posto del tridente, per ultimare, sempre con la forza del vento, la separazione degli ultimi residui di paglia (annittata). Così si va formando al centro dell’aia il mucchio di lenticchie, ilmunzeddu. Indi l’aia viene accuratamente ripulita con piccole scope (scupitti) fatte con piante secche di lino. Nessun seme di lenticchia deve andare disperso. Non appena il munzeddu, simbolo e segno di un traguardo raggiunto, è costituito, compare nell'aia il cernitore (cirnituri) con un setaccio rotondo di pelle d’asino di un metro di diametro (crivu), che viene appeso ad un treppiedi (triangulu). La delicata fase della cernita (cirnùta) porterà ad ottenere lenticchie pronte da insaccare. La pistata, tecnica utilizzata anche per il grano, l’orzo, le fave e altri legumi, è ora soppiantata da nuove tecnologie ed è caduta in disuso. Anche per questo la mostra quindi assume il valore di un documento di particolare importanza per la tutela della memoria storica del lavoro contadino usticese.
Per approfondimenti leggere gli articoli:
* La Pistata delle lenticchie, di Nicola e Margherita Longo, in “Lettera” n. 13-14 aprile-agosto 2003.