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Centro Studi e Documentazione Isola di Ustica

Fototeca Ambiente

Punta Erbe Bianche

Punta Erbe Bianche

Nella zona sud dell'isola, andando dalla Cala Santa Maria verso Punta Cavazzi, si trova Punta delle Erbe Bianche.
Anche la scogliera soprastante viene chiamata da pescatori
Erbe bianche. Precede la punta una piccola rientranza della costa detta Vincenzieddu e la segue un’altra detta Zu Cristoforo. Una ridda di toponimi che testimonia una forte frequentazione, che continua ancora, di quel breve tratto di costa. Ben giustificato il toponimo, perchè sul terreno soprastante "l’erba bianca" è dominante. L'erba bianca, assenzio aromatico (Artemisia arborescens), a Ustica è detta
anche erva janca, un termine che foneticamente rivela l’origine eoliana degli Usticesi. Deve il suo nome dialettale alla leggera peluria bianca con riflessi argentei che la ricopre.
La sua foglia dalla forma pennata è intensamente aromatica ed ha un sapore amaro e si puè ammirare in fiore in estate. L’erba bianca è detta anche “erba santa” per le sue numerose
proprietà medicamentose: stimola l’appetito (è usata contro l’anoressia) e favorisce la buona digestione, cura le gastriti, ha potere antinfiammatorio, antisettico, etc. Il Tranchina nella sua storia di Ustica suggerisce che “l’estratto medicinale” veniva
preparato dai farmacisti. Un tempo, oltre che nelle farmacie,
infusi e decotti d’erba bianca erano abitualmente preparati in
casa per i più svariati impieghi.
 
http://www.centrostudiustica.it/images/PDF/pdf-copertine-rivista-lettera/Lettera-N.-30-31-Anno-X-Dicembre-2008-Aprile-2009/L30-31_Natu_ErbaBianca_Ailara.pdf

Passo della Madonna

 

Passo della Madonna

“Rinvennero…una immagine della Vergine con Gesù morto nelle braccia, il che diede il nome al cosiddetto Passo della madonna, ove i fedeli eressero poi una piccola cappella”. Così scrive il Tranchina nella sua storia di Ustica.

Il termine “Passo” indica il piccolo viottolo, stretto e a strapiombo sulla cala, che un tempo collegava la contrada di Tramontana alla contrada Spalmatore.

Su questo luogo va citata una legenda tramandata dal Pitrè:

«Sopra un picco della montagna di Ustica, corrispondente all'attuale Passo della Madonna, sorgeva una volta una statua di Maria. Ora, al tempo che i barbareschi infestavano l’isola, un galeone di pirati approdò in quel posto per una delle solite scorrerie. Scesi i marinai e veduta la statua cominciarono a deriderla e di prenderla a bersaglio delle loro schioppettate. Ma al primo colpo tirato da uno di loro, la palla, ributtata, tornò come fulmine indietro, cadendo sul legno che colò immediatamente a fondo convertendosi in uno scoglio. Questo scoglio è comunemente inteso "lu bastimentu turcu", perché conserva la forma del galeone, sprofondato e piegato da un lato. A pochi passi ve n’è un altro molto più piccolo, che pare ed è ritenuto la sua lancia, pietrificata pur essa».

Falco pellegrino

Falco pellegrino

Il falco pellegrino (Falco peregrinus) è un rapace carnivoro lungo 34-46 (la femmina raggiunge i 58 cm), con peso di gr. 500-750 (la femmina il doppio). Riferisce il Tranchina che Doderlein ne ha individuato una coppia nidificante nella parete a strapiombo dell’Omo Morto «dal cui nido un ardito giovinetto, calandosi con funi, suole estrarre ogni estate i novelli pulcini per venderli o per mangiarli». Anche il prof. Bruno Massa ne segnala una coppia che attualmente nidifica nella stessa parete.  

Cfr. Massa Bruno, Importanza dell’isola di Ustica per gli uccelli migratori, in «Lettera»n. 13-14, 2003, pp. 1-9 Massa Bruno, The importance of the Island of Ustica for Migratory Birds, in «Lettera»n. 13-14, 2003,  pp. 1-9

Cfr. Tranchina Giuseppe, L’isola di Ustica dal MDCCLX sino ai giorni nostri, parte II, Nozioni sulla storia naturale di Ustica, Palermo, 1886, p. 5.

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Cernia bruna

Cernia bruna

La cernia bruna (Epinephelus marginatus), conosciuta anche come cernia di scoglio, ha vita lunga fino a 50 anni e crescita lenta, ed è un pesce ermafrodita. Gli esemplari più giovani sono quasi esclusivamente femmine, mentre una volta superata la taglia di 9 kg cambia sesso.    

è un pesce a cui è legata buona parte della storia recente dell’isola. Alla fine degli anni Cinquanta, quando l’isola si avviò al turismo e ospitò la Rassegna delle Attività Subacquee e Ustica divenne la capitale della pesca subacquea, la cernia, presente in gran numero nelle acque dell’isola, divenne protagonista come preda ricercata per le sue grandi dimensioni e trofeo ambito e ostentato per tutti i sub in gara. Quando l’isola si converti alla tutela del suo mare e divenne sede, nel 1986, della prima riserva marina d’Italia le cernie divennero oggetto di attenzione di ricercatori e ancora una volta protagoniste, stelle di prima luce nell’universo sommerso. Per studiare il loro comportamento venivano catturate, curate in apposite vasche, anestetizzate e sottoposte a intervento chirurgico per inserire nella cavità addominale un trasmettitore acustico per segnalarne i movimenti. La ricerca durata alcuni anni ha portato Ustica alla ribalta internazionale. (AV)

Cfr. Nicosia Angelo, Ustica nel 1959, in «Lettera» n. 1, 1999, pp. 16-19

Cfr. Lembo Giuseppe, A passeggio con le cernie di Ustica, in «Lettera» n. 1, 1999, pp. 12-15.

Cfr. Lembo Giuseppe, La cernia porta Ustica alla ribalta internazionale, in «Lettera» n. 11-12, 2002, pp. 37-40.

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Grotta dell'Oro

Grotta dell'Oro

La grotta dell’Oro si apre nella costa di Tramontana tra il Cimitero e la Colombaia. È una caverna, ben più ampia di quella vicina del Parrinu,  anch’essa scavata dai marosi in una breccia esplosiva con inclusi molti massi a spigoli vivi. La grotta ha un  ingresso largo circa m 10 ; vi si accede in barca anche con risacca. Ha un solo ambiente che si sviluppa  per circa 35 metri. I riflessi dorati delle rocce giustificano il toponimo.

La grotta è inserita nel Catasto Speleologico Siciliano al numero 408.

Cfr. Mannino Giovanni e Ailara Vito,  Le Grotticelle. La Grotta d’ ‘u Parrinu e la Grotta dell’Oro, in «Lettera» n. 17-18, 2004, p. 57-60

Cfr.  Mannino Giovanni e Ailara Vito, Le grotte di Ustica, ed. CSDU, Palermo, 2014, pp. 93-97

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Fiore di lenticchia

Fiore di lenticchia

La lenticchia di Ustica (Lens culinaris Medik) è coltivata sull’isola sin dai tempi della colonizzazione dell’isola del 1763. Ne ricorda la coltivazione il naturalista Calcara (1842); ne decanta il gusto l’arciduca Luigi Salvatore d’Asburgo (1898): «molto piccole ma gustosissime e fave eccellenti»; ne ricorda il “valore sociale” come piatto dominante nella mensa popolare il Parroco Tranchina (1886): «La minuta lenticchia di Ustica un tempo era molto ricercata».

La semina si fa a dicembre a spaglio o a fila, cioè entro solchi alternati, eseguiti con aratro a chiodo trainato dall'asino. Alla sarchiatura (zappuliata), effettuata rigorosamente a mano, segue, prima della  fioritura, con estrema cautela la scerbatura, ossia l’estirpazione di erbacce sfuggite alla sarchiatura. La raccolta si effettua a mano nelle sole ore mattutine, prima dell’alba, quando le piante con i baccelli quasi secchi sono ancora bagnate di rugiada. Le piante, essiccate al sole, vengono strasportate con la cutra e trebbiate nell’aia con metodo della pistata e della spagghiata. In questi ultimi tempi, con la promozione del prodotto nel mercato nazionale, la coltivazione è stata intensificata e si vanno introducendo strumenti meccanici sull’intero ciclo.

La lenticchia, un tempo coltivata come elemento di base dell’alimentazione locale, poi, nell’Ottocento, esportata in grande quantità sulle piazze di Palermo e di Napoli, ora, dopo il riconoscimento di area slowfood, ha conquistato il mercato nazionale e, in questo 2015, è finita, incredibile ma vero, nel menù dell’astronauta Samantha Cristoforetti.   Foto di Bruno Campolo. (AV)

Longo Nicola, Longo Margherita, La Pistata delle lenticchie in «Lettera» n. 13-14, 2003, pp.26-35

Cfr. Tranchina Giuseppe, L’isola di Ustica dal MDCCLX sino ai giorni nostri, parte II, Nozioni sulla storia naturale di Ustica, Palermo, 1886, p. 29.

Calcara Pietro, Descrizione dell’isola di Ustica, in «Giornle Letterario», n. 229, Palermo, 1842, p. 49     

Ludovico Salvatore d'Asburgo, Ustica, ristampa in lingua italiana, ed. Giada, Palermo, 1989, p. 94

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Assiolo, Cuccareddu

Assiolo, Cuccareddu

L’assiolo (Otus scops) è individuato dagli Usticesi col nome Cuccareddu. È  un piccolo rapace notturno, lungo di circa 20 cm, tarchiato con testa grande che, in posizione di riposo, si distingue per due minuscole orecchiette di piuma che lo rendono simile alla civetta. Di giorno si riposa in posizione immobile e ben riparata mimetizzandosi su rami di alberi o su ficodindia. Si nutre di cicale, cavallette, maggiolini, insetti, lombrichi. È uccello di passa, un tempo a Ustica abbondantissimo specie nella stagione autunnale (se ne cacciavano sino a 100 al giorno); veniva cacciato con cartucce caricate con ghiaia e crusca, ma anche con le mani; cucinato al sugo costituiva un piatto molto apprezzato degli isolani; ora è molto meno frequente a causa della sua diminuzione in Europa e non può più essere cacciato in quanto specie protetta.  Foto E. Canale. (AV)

Cfr. Massa Bruno, Importanza dell’isola di Ustica per gli uccelli migratori, in «Lettera»n. 13-14, 2003, pp. 1-9 Massa Bruno, The importance of the Island of Ustica for Migratory Birds, in «Lettera»n. 13-14, 2003,  pp. 1-9

Cfr. Tranchina Giuseppe, L’isola di Ustica dal MDCCLX sino ai giorni nostri, parte II, Nozioni sulla storia naturale di Ustica, Palermo, 1886, pp. 11-12.

 

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News

  • Mostra Da Isola prigione a perla nera del Mediterraneo

    Esposta al Museo Archeologico la mostra Ustica da isola prigione a perla nera del Mediterraneo

    Mostra Da Isola prigione a perla nera del Mediterraneo

    La mostra fotografica Ustica da isola prigione a perla nera del Mediterraneo, resterà aperta al Museo Archeologicio sino al 30 settembre 2019, dalle 18 alle 20 e dalle 22 alle 24.

    Sono esposte foto d'autore tra cui figurano le firme celebri di Toscani e Maraini e altre acquisite dagli archivi della Magnum e Alinari.

    Sulla terrazza del museo che guarda il piccolo porto dell'isola, saranno visibili le rare immagini d'epoca in grandi formati, stampate su tela olona, materiale molto resistente utilizzato in agricoltura prima dell'avvento della plastica. Di grande interesse 40 immagini della vita usticese risalenti agli anni ‘50 e ‘60, trovate nelle collezioni locali.

    La lettura della vita di Ustica, isola prigione destinata ad accogliere prima gli antifascisti e gli anarchici, poi i mafiosi e i capi ‘ndrangheta: personaggi, paesaggi e angoli dell' isola che, cancellati dopo l'avvio del turismo, tornano a far parte della memoria collettiva.

    La mostra curata da Maria Grazia Barraco é stata realizzata dal Centro Studi e Documentazione Isola di Ustica con il contributo dell'Assessorato regionale per i Beni Culturali e l’ Identità siciliana.

Mostre

  • Il confino politico a Ustica nel 1926-27

    Il confino politico a Ustica nel 1926-27

     Il confino politico a Ustica nel 1926-27 "Immotus nec iners"

    Tra i confinati comuni inviati sull’isola sin dalla sua colonizzazione del 1763 erano sempre stati presenti i “politici”: i nemici dei re e i contestatori degli aumenti delle tasse del periodo borbonico, i patrioti del Risorgimento, i renitenti alla leva del nuovo stato unitario, gli anarchici di fine Ottocento, gli oppositori delle guerre coloniali, i deportati libici.
    Fino al 1926 i politici, rispetto ai coatti comuni, costituivano una minoranza ma con l’approvazione delle leggi “fascistissime” emanate quell’anno la loro presenza diventerà più consistente sino a soppiantare quella dei confinati comuni. Ne transiteranno circa 600, facendone una «selva di campanili».
    Il tentativo di emarginazione e di “espulsione” dalla società attiva voluto dal regime attraverso il confino finì però per essere occasione di incontro, discussione e confronto fra i politici di ogni ideologia ed estrazione sociale, una vera e propria convention dell’opposizione. Il confino fu, infatti, una fondamentale esperienza costruttiva. La convivenza forzata fra persone di cultura, di idee politiche, di classe, di religione diverse, che forse non si sarebbero mai neppure incontrate, finirà, infatti, con il porre le basi della grande alleanza antifascista che, iniziata nelle carceri e nei luoghi di relegazione del regime, contribuì alla crescita dello spirito democratico nel Paese: un vero e proprio laboratorio di formazione politica e civica.
    Tra lo stupore degli isolani e l’insicurezza degli agenti di polizia Gramsci e Bordiga, arrivati nei primi del dicembre 1926, impiantano una scuola e poi i confinati politici organizzano la vita sociale: biblioteca pubblica, mense, spacci, attività sportive (calcio, bocce, water-polo), assistenza nella prima sistemazione e altro.
    Questo modello di vita confinaria originale e straordinario è un vero controsenso che testimonia quanto il regime abbia sottovalutato le conseguenze della scelta del confino politico: un vero e proprio boomerang, in quanto luogo di aggregazione e di formazione delle coscienze dell’antifascismo. Allorquando, tardivamente, il regime ne prenderà coscienza, inventerà l’esistenza di un complotto a fini eversivi con la complicità di stati stranieri per smantellare la colonia usticese trasferendo i confinati a Ponza e a Lipari, dove alcune di queste iniziative vennero riproposte, anche se queste subiranno eccessi di limitazione e di controllo poliziesco.
    Il rapporto della popolazione locale con i confinati politici è eccellente: alcuni Usticesi ospitano i politici nelle loro case e ne subiscono l’influenza. I giovani sono affascinati dalle intelligenze e le ragazze incontrano amori non contestati dai familiari.
    Questa mostra si propone di recuperare alla memoria collettiva e di restituire alle giovani generazioni alcuni frammenti di una pagina importante della nostra storia locale e nazionale, com’è, appunto, quella del confino di polizia dell’epoca fascista: una vicenda contrassegnata da forti passioni e da grandi ideali e che può anche essere il racconto di tante vite spezzate solo per affermare un diritto, diremmo quasi sacro, qual è quello della libertà di pensiero.
    Le fotografie provenienti da archivi pubblici e privati, i documenti e le testimonianze scritte dai protagonisti di quella singolare vicenda, pur nella loro incompletezza, ci permettono di conoscere meglio, attraverso una ricostruzione cronologica e tematica, i luoghi, i personaggi, gli eventi, i momenti e le atmosfere della vita confinaria a Ustica negli anni Venti, nonché alcuni aspetti del contesto ‘fisico’ e sociale isolano in cui essa si venne ad inserire. Un microcosmo, cioè, che era, in quegli anni, improvvisamente diventato quella sorta di laboratorio politico e culturale. Vengono riproposti i volti, le testimonianze e, più in generale, la particolare e intensa esperienza, politica e umana insieme, che i documenti a nostra disposizione hanno reso possibile. Uomini e donne, quelli del confino antifascista e delle carceri del regime, molti dei quali riverseranno unitariamente il loro straordinario patrimonio politico e ideale, maturato anche attraverso l’esperienza narrata dalla mostra, nella lotta di Liberazione e nella vita dell’Italia repubblicana.

    Mario Genco, Il “museo” delle storie quotidiane

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