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Centro Studi e Documentazione Isola di Ustica

Fototeca Confino Politico

Candelora la donna della foto di Gramsci

Candelora la donna della foto di Gramsci

Finalmente individuata la donna che appare nell’unica foto di Gramsci a Ustica

«La Candelora è partita» scrisse Amadeo Bordiga il 27 gennaio 1927 a Gramsci partito da Ustica il 20 precedente. Ma chi era «la Candelora»? Tutte le indagini erano fallite. Di lei nessuna traccia in archivio nè nelle tante pubblicazioni consultate.

Nell’ottobre 2018 con una mail mi si chiedevano notizie su una confinata che era stata a Ustica tra il 1925 e il 1930. Che bello! Pensai subito. Nel pozzo senza fondo dei confinati passati per Ustica sto per pescare una donna. E continuai a leggere: «Cognome e nome: Carmignano Candelora; anno di nascita: 1904; città di provenienza: Taranto». Ebbi un sussulto. Ecco finalmente «la Candelora»! Candelora era il nome (insolito), non il cognome! Cominciò così una fitta corrispondenza con Antonella Carmignano, che desiderava soddisfare l’interesse del padre sulla zia perseguitata assieme ai fratelli Nicola e Consiglio perché comunisti. Le inviai le poche informazioni che avevo e ricevetti due foto della prozia. Altra sorpresa! Riconobbi Candelora nella donna a fianco di Gramsci nella foto di un gruppo di confinati ritenuta l’unica fatta dal segretario del PCd’I ad Ustica tra il 7 dicembre 1926 e il 20 gennaio 1927 e così fece il papà di Antonella seppure con qualche dubbio perché la foto era sfocata. Ricevetti anche la foto della copertina di Sovversivi di Taranto di Nistri e Voccoli con su riprodotta una cartolina

inviata da Ustica a fine dicembre 1926 e riconobbi le firme di Candelora, Gramsci, Bordiga, Di Masi, D’Agostino, Marcucci, Molinelli, Ventura, Boldrini, Guadagnini, Briglia, Sbaraglini, Madrucciani, tutti confinati a Ustica. Ebbi copia del fascicolo del CPC della Candelora

grazie alla disponibilità di Silvia Ursillo che qualche mese dopo mi contattò da Roma per avere notizie su un altro confinato passato per Ustica. Altra causalità fu rintracciare, grazie alla cortesia di Michele Santoro, anche una seconda posa (inedita) della stessa foto di Gramsci in gruppo a Ustica nellaquale ho ricosciuto senza alcun dubbio Candelora. Il fatto veramente strano è che Antonella, Silvia e Michele erano da me sconosciuti e non avevano mai avuto contatti diretti con Ustica. Tutti e tre meritano apprezzamento per il loro impegno nel custodire la memoria familiare e collettiva e il mio grazie per la collaborazione. L’esame del fascicolo restituisce informazioni sulla giovane tarantina: nata in Brasile nel 1904 da emigranti pugliesi, residente a Taranto, sarta, comunista. Il 18 novembre 1926 con ordinanza della Commissione provinciale di Taranto fu confinata per 5 anni poi ridotti a 2. Un rapporto dei carabinieri la descrive come «donna molto pericolosa per l’ordine pubblico, buona organizzatrice e capace di contrastare l’azione dei poteri

dello stato», impegnata a distribuire «tessere del partito comunista svolgendo propaganda specialmente tra le donne e raccogliendo fondi per il partito stesso». Destinata a Ustica, vi giunse il 7 dicembre 1926, lo stesso giorno in cui arrivò Gramsci legata alla stessa catena. Fu la prima donna vittima delle leggi fasciste a giungere sull’isola. Aveva 22 anni. Orfana, col suo lavoro di sarta sosteneva a Taranto la mamma sofferente e la sorella Giovanna di 7 anni; la sorella maggiore, Erminia 25 anni, era sposata; il fratello Nicola 27 anni, segretario provinciale dei giovani comunisti, era carcerato a Taranto e deferito al TSDS; l’altro fratello, Consiglio di 20 anni, arrestato il 20 giugno 1926 per organizzazione comunista, era stato condannato dal TSDS alla reclusione di 6 anni e 8 mesi per «complotto  contro i poteri dello Stato». Il fidanzato, anch’egli comunista, era rinchiuso nelle carceri di Taranto. Trasferita da Ustica a Corleto Perticara il 27 gennaio ‘27 vi rimarrà sino al 22 dicembre di quell’anno, quando sarà liberata e ammonita. Periodo trascorso in carcere e al confino: anni uno, mesi uno, giorni nove.

VITO AILARA

 

Catenaccio per chiusura alloggi confinati

Catenaccio per chiusura alloggi confinati

I catenacci per la chiusura dei cameroni e delle case in cui erano alloggiati i confinati erano realizzati a Ustica da artigiani locali e avevano tre tipi di serratura, uno per ciascun quartiere del centro abitato. Per distinguerli venivano contrassegnati da una “S” per indicare gli alloggi ubicati nel rione San Bartolomeo, da  una “C” per indicare quelli del rione Calvario, da una “M” per indicare quelli del rione Marina.

I confinati politici antifascisti inviati a Ustica nel 1926-27 avevano l’obbligo di rincasare  un’ora dopo i coatti e non venivano rinchiusi col catenaccio, ma durante la notte la polizia poteva controllare la loro presenza in casa. La mattina avevano facoltà di uscire dalla casa un’ora prima dei coatti.  

Case per abitazione confinati

Case per abitazione confinati

Gli alloggi dei confinati erano previsti in “cameroni”, ampie stanze prese appositamente in affitto dallo Stato. Tuttavia ai confinati era consentito alloggiare, da soli o con la famiglia o in gruppo, in case prese in affitto previa autorizzazione del Direttore della Colonia. Le case dovevano essere all’interno del centro abitato entro il LIMITE CONFINATI. Eccezionalmente poteva essere autorizzato l’affitto di case all’esterno del centro abitato, come si è verificato per i notabili libici negli anni tra il 1916 e il 1934 e per i confinati politici del 1926-27. L’autorizzazione veniva data dopo avere accertato che le case avessero grate alle finestre e sistema di chiusura con catenaccio alla porta.

Le case autorizzate venivano indicate con un numero distintivo e targa con la scritta “Abitazione Coatti n. X”. In apposito registro presso la Direzione della Colonia venivano annotate per ciascuna abitazione le generalità dei confinati alloggiati.

 

Persiana di casa abitata da confinati

Persiana di casa abitata da confinati

I confinati, sia che fossero alloggiati nei “cameroni” che nelle abitazioni prese in affitto venivano rinchiusi con catenaccio anche se convivevano con familiari, dal tramonto all’alba. All’ora fissata (variabile a seconda della stagione) una pattuglia di guardia chiamava l’appello e chiudeva il catenaccio. Addetto al trasporto dei catenacci era un confinato, detto catenacciaro, che portava a tracollo come una cartucciera i catenacci necessari.

La foto ritrae un caso particolare: una persiana dotata dell’apposito armamentario per chiudere le due ante. La foto è eccezionale perché in genere le case con persiane erano abitate dai proprietari.

Porta di casa abitata da confinati

Porta di casa abitata da confinati

Le case abitate da confinati generalmente erano molto misere. Avevano una solo finestrella,  in genere posta sopra la porta, con grate. La porta doveva essere dotata di un apposto armamentario che consentiva una sicura chiusura della porta. Si trattava di una asta di ferro piatto, ancorato con cerniera allo stipite, che aveva un occhiello saldato nella parte centrale posta in modo che, ruotando l’asta, si incastrava tra i due occhielli posti sulle due ante. Un catenaccio ai tre occhielli garantiva sicurezza alla chiusura.

Nella foto la finestrella a lato della porta ricorda che il locale era stato adibito a “cucina economica per coatti”. All’interno si cucinavano le pietanze che venivano distribuiti attraverso la finestrella. L’informazione è stata data da una un’anziana donna  dirimpettaia.

Cameroncino del Calvario per alloggi confinati

Cameroncino del Calvario per alloggi confinati

Negli anni Trenta del Novecento sono stati costruiti otto “cameroncini” alla fine delle strade che conducevano dal centro abitato. Vi vennero insediati corpi di guardia per vigilare che i confinati non superassero LIMITE CONFINATI oltre il quale non potevano andare senza apposito permesso rilasciato dal Direttore della Colonia.

I “cameroncini” vennero realizzati al bivio di Via Tramontana e via del Cimitero, all’inizio della strada del Bosco, all’incrocio di Via Appennini con la strada dell’Oliastrello, all’incrocio di via Torre Santa Maria con la strada dell’Oliastrello, all’inizio della stradella del Mulino a vento, lungo la via C. Colombo (detta Rotonda), lungo la via Mezzaluna, alla fine di Via del Calvario.

Successivamente i “cameroncini”, dotati di cancelli e grate alle finestre, vennero utilizzati anche per alloggiarvi confinati. Nel 1942  nel cameroncino del Calvario e in quello della Rotonda vennero alloggiate confinate slave.

(Rif. CO_01)

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News

  • Mostra Confino presso Istituto Gramsci Siciliano

    Inaugurazione mostra confino  17.10.2019 a Palermo

    Mostra Confino presso Istituto Gramsci Siciliano

     

     

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    Si è inaugurata la mostra "Il Confino Politico a Ustica nel 1926-1927 “Immotus nec iners” presso L'Istituto Gramsci Siciliano ai Cantieri Culturali della Zisa in Via Paolo Gili, 4.

    La mostra, curata da Vito Ailara e da Massimo Caserta ha riscosso notevole successo ed é stata molto apprezzata dalla stampa e dal pubblico nelle sue precedenti esposizioni come Roma e Bruxelles.
    Vi ricordiamo che la mostra sarà visitabile gratuitamente fino al 14 dicembre, dal lunedì al giovedì dalle 9.00 alle 17.00 e venerdì e sabato dalle 9.00 alle 13.00.
    Chi fosse interessato a ricevere maggiori informazioni o il catalogo della mostra può scrivere a info@centrostudiustica.it
     
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Mostre

  • L'Isola dei Vulcani

    Una raccolta di opere proveniente dal Museo Mormino di Villa Zito

    L'Isola dei Vulcani

    Una raccolta di rare e pregevoli opere pittoriche e bibliografiche, proveniente dal patrimonio storico-artistico del Museo Ignazio Mormino di Villa Zito a Palermo (Fondazione Banco di Sicilia), compone la mostra “L’Isola dei vulcani” esposta nel 2006 nei locali del vecchio Municipio.

    Cinquanta le opere esposte fra incisioni, gouaches e volumi illustrati che mettono ampiamente in risalto il fascino ed il mito che le eruzioni vulcaniche hanno sempre destato. Nella seconda metà del Settecento le scoperte archeologiche degli scavi di Ercolano e Pompei, la descrizione dei templi di Paestum fatta da Winckelmann, la serie delle incisioni che li illustravano eseguite da Gian Battista Piranesi, l’impossibilità di visitare la Grecia liberamente in quanto in mano all’Impero ottomano, la grande produzione di studi sulla Sicilia greca e l’evoluzione del gusto che vedeva nell’arte dell’antichità classica i modelli di una perfezione che bisognava instaurare nel mondo, spinsero molti poeti, pittori, nonché aristocratici e facoltosi borghesi ad affrontare il viaggio in Sicilia. Le rivelazioni dei viaggiatori, naturalisti e vulcanologi, ispirati dal razionalismo illuminista, da Patrick Brydone a William Hamilton, dal Compte de Borch a Déodat de Dolomieu, da Lazzaro Spallanzani a J. A. de Gourbillon, sulle ascensioni dell’Etna e dei vulcani delle Eolie, e le descrizioni del paesaggio, delle grandiosi eruzioni e dei fenomeni vulcanologici, alimentano un richiamo irresistibile per studiosi, geologi o eruditi alla ricerca dell’emozione e dell’avventura. Le immagini che maggiormente caratterizzano questa esposizione sui vulcani in Sicilia sono quelle delle opere pittoriche a la gouache, tecnica molto diffusa a Napoli nel vedutismo dei primi anni della Scuola di Posillipo tra Settecento e Ottocento e che riscuote successo anche in Sicilia quando le vicende storiche costringono la corte borbonica a trasferirsi da Napoli a Palermo.

    Non meno rilevanti sono il segno grafico e la forza espressiva che si ritrovano nelle vedute incise, come nelle acquetinte dei crateri in eruzione di Stromboli e di Vulcano mutuate da opere di Luigi Mayer; nelle rare acqueforti seicentesche che riprendono i crateri dell’Etna in eruzione, come nell’incisione a bulino di Franz Huys del 1632 Freti siculi sive Mamertini vulgo il faro…, ripresa da un’incisione di Pieter Brueghel, che compie un viaggio in Sicilia tra il 1552 e il 1556; nell’originale veduta dell’isola Ferdinandea sorta nel canale di Sicilia da attività vulcaniche sottomarine; nelle raffinate piccole acquetinte tratte dal resoconto di viaggio di J. B. Cockburn pubblicato nel 1815, nonché nelle vedute e carte geografiche che riguardano Ustica, anch’essa isola di origine vulcanica. In mostra erano inoltre presenti tredici volumi di grande interesse storico e iconografico quali, fra i più rilevanti, Campi Phlegrei, ou observation sur les volcans des Deux Sicilies di William Hamilton, pubblicato a Parigi nel 1799, le cui tavole comprendono 76 vedute, tutte colorate a mano all’acquerello e alla gouache, che illustrano i vulcani dell’Italia meridionale ed insulare, le più importanti coeve eruzioni; i due Voyage pittoresque des isles de Sicilie… di Jean Houel e di Richard de Saint-Non-Dominique Vivant Denon, pubblicati rispettivamente a Parigi tra il 1771 ed il 1787 e tra il 1781 e il 1786, nonché l’opera Die Liparischen Inselndi Ludovico Salvatore Asburgo-Lorena arciduca d’Austria, comprendente otto volumi per le sette isole Eolie e un volume interamente dedicato a Ustica, pubblicati a Praga da Heinr Mercy Sohn tra il 1893 e il 1898.

    Nel centenario della lunga sequenza sismica che colpì Ustica nel 1906, e che portò alla completa evacuazione della popolazione dell’isola tra marzo e aprile dello stesso anno per il timore di una ripresa dell’attività eruttiva, L’Isola dei vulcani ha voluto rappresentare anche un momento di studio e riflessione sulla difficile convivenza dell’uomo con le forze della natura.


    Per approfondimenti leggere l’articolo:
    * Francesco Buccheri, L’ Isola dei Vulcani, in Lettera n. 23-24 maggio-dicembre 2006.

    MO IsolaVulcani 03 Eruzione del Monte Etna in Sicilia Napoli 1807 Anonino

    MO IsolaVulcani 07 Etna 1830 Anonimo

    MO Isola dei vulcani

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