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Centro Studi e Documentazione Isola di Ustica

Fototeca Toponomastica

Grotta di Munzedda

Grotta di Munzedda

 Questa grotta faceva parte di un antico condotto lavico insieme alla Grotta del Tuono. La grotta di Munzedda si apriva sulla costa e la Grotta del Tuono si apriva in mare. Il condotto lavico, per via dei crolli causati da una frana che ne hanno cambiato la conformazione, non è più visibile, ma è probabile che il crollo sia avvenuto in seguito alla colonizzazione del 1763, quindi in tempi piuttosto recenti. La grotta di Munzedda si trova nel versante Sud dell'isola verso la contrada Arso e non è facilmente raggiungibile. Il nome della grotta è un toponimo ispirato dai cumuli presenti costituiti da pietrisco e terra solidificati ricoperti da incrostazione calcarea causata dallo stillicidio, questi sono
i "munzedda" per l'appunto, dei "mucchi" che ricordano le montagnette di grano o di legumi. La grotta per il suo accesso difficoltoso non ha mai avuto una destinazione d'uso come spesso è accaduto per altre ampie cavità sotterranee , salvo quella di un riparo dalla pioggia per i contadini a lavoro nei campi vicini.

Punta Erbe bianche

Punta Erbe bianche

Nella zona sud dell'isola, andando dalla Cala Santa Maria verso Punta Cavazzi, si trova Punta delle Erbe Bianche.
Anche la scogliera soprastante viene chiamata da pescatori
Erbe bianche. Precede la punta una piccola rientranza della costa detta Vincenzieddu e la segue un’altra detta Zu Cristoforo. Una ridda di toponimi che testimonia una forte frequentazione, che continua ancora, di quel breve tratto di costa. Ben giustificato il toponimo, perchè sul terreno soprastante "l’erba bianca" è dominante. L'erba bianca, assenzio aromatico (Artemisia arborescens), a Ustica è detta
anche erva janca, un termine che foneticamente rivela l’origine eoliana degli Usticesi. Deve il suo nome dialettale alla leggera peluria bianca con riflessi argentei che la ricopre.
La sua foglia dalla forma pennata è intensamente aromatica ed ha un sapore amaro e si puè ammirare in fiore in estate. L’erba bianca è detta anche “erba santa” per le sue numerose
proprietà medicamentose: stimola l’appetito (è usata contro l’anoressia) e favorisce la buona digestione, cura le gastriti, ha potere antinfiammatorio, antisettico, etc. Il Tranchina nella sua storia di Ustica suggerisce che “l’estratto medicinale” veniva
preparato dai farmacisti. Un tempo, oltre che nelle farmacie,
infusi e decotti d’erba bianca erano abitualmente preparati in
casa per i più svariati impieghi.
http://www.centrostudiustica.it/images/PDF/pdf-copertine-rivista-lettera/Lettera-N.-30-31-Anno-X-Dicembre-2008-Aprile-2009/L30-31_Natu_ErbaBianca_Ailara.pdf

Contrada Crocevia

Contrada Crocevia

Quella che ora si chiama Via della Crocevia sino a metà del Novecento era individuata col toponimo "San Bartolicchio" e così anche la zona circostante. Si trattava di una strada a mala pena acciottolata, larga quanto bastava per far transitare un asino, delimitata da muretti a secco alti non più un metro e mezzo, che si estendeva sino a località Quattroventi.

Il toponimo San Bartolicchio traeva origine dall'edicola che custodiva una piccola statua di San Bartolomeo, situata all’inizio della strada. Il toponimo Crocevia era invece riservato all’incrocio tra la strada dell’Oliastrello con la strada dell’Arso.

La stradella di San Bartolicchio ad ogni pioggia si trasformava in un ruscello in cui scorreva l’acqua raccolta dalla collina soprastante. Se la pioggia era abbondante il ruscello diventava un vero torrente e l’acqua defluiva con impeto e scavava anche l’antico tracciato della strada dell’Oliastrello. Da ciò deriva il toponimo poco conosciuto "Vallone" dato a quella piccola porzione di isola tra le contrade Oliastrello, Arso e Spalmatore.

Nel 1884 le acque, scorrendo tumultuose sulla stretta via, travolsero l’edicola di San Bartolicchio e la statuetta, miracolosamente salvata, venne alloggiata in altra cappella appositamente costruita su terreno messo a disposizione da Domenico Tranchina vicino al Gorgo dell’Oliastrello che oggi conosciamo con il nome di San Bartolicchio.

Scoglio della Colombara - Faraglioni

Scoglio della Colombara - Faraglioni

I documenti più datati conosciuti in cui è riportato il toponimo il faraglione della Colombaia sono la Topografia dell’isola di Ustica ed antica abitazione di essa di Andrea Pigonati, pubblicata a Palermo nel 1762, e la Pianta dell’isola di Ustica datata 1770, ritrovata nella Biblioteca Nazionale di Napoli. Entrambi sono frutto della ricognizione dell’isola effettuata nell’aprile del 1759 da un gruppo di ingegneri guidati dall’ingegnere militare Giuseppe Valenzuola per predisporre il plano per la colonizzazione dell’isola realizzata nel 1763. La relazione Pigonati contiene dieci toponimi, la pianta quindici. In entrambi i documenti figura il toponimo «Palombaro», che non si riscontra in altri successivi documenti nei quali, invece, è riportato Colombaia, Colombaro, Colombajo., Colombaru.

Il toponimo è attribuibile ai pescatori trapanesi che frequentavano l’isola sin dal XVII secolo per la pesca del corallo. Frequentazione assidua anche nel Settecento come documenta Carmelo Trasselli nel suo saggio Il popolamento dell’isola di Ustica nel secolo XVIII, per Sciascia editore, Caltanissetta-Roma, 1966, pp. 107-109.

Il richiamo ai Trapanesi è suggerito dalla forte somiglianza del profilo dei Faraglioni con l’isolotto fortificato che sorge proprio innanzi al porto di Trapani, chiamato appunto Colombaia, Colombaya, Columbara, toponimo derivante «de colombes du Mont Erix, qui se passeur, blaient sur ses rocher, au moment de leur depart pour l’Afrique» (Cfr. Il libro delle torri di S. Mazzarella-R. Zanca, Palermo, 1985, p. 204).

Il faraglione è segnalato col toponimo Colombara nella carta del cap. Smyth nel 1823 e L. Merli nel 1867, nelle carte IGM Palermo e Foglio 249 del 1885; con Colombaio nella carta di P. Calcara del 1843; con Colombaro nella carta di Durando del 1896, in quella di L.S. d’Asburg del 1898 e nelle tavolette IGM del 1912, 1925, 1958 e del 970 vigente ancora oggi; Colombaia nella carta Ustica Island di Wharton nel 1874.

Il toponimo è stato attribuito alla vicina grotta sulla costa e alla grotta scavata dal mare sul lato nord dello stesso scoglio e anche alla secca, un tempo chiamata Secca Galera, che dista un miglio dalla costa.

Lo scoglio a levante della Colombaia è stato battezzato col toponimo Nerone nella pianta dell’isola a matita grassa disegnata nel 1957 dal pittore Giovanni Omiccioli, che figura solo in qualche cartina turistica.

Falconiera

Falconiera

La bellissima scogliera che si eleva ad un’altezza di 158 metri sul livello del mare nel versante Est dell'isola e costituita da porzione residua di cratere a monte della Cala Santa Maria. Il toponimo è uno dei più antichi dell'isola, riportato in molte carte e testi dell'isola risalenti all'epoca di Federico II e richiama le specie di falchi (falco pellegrino e falco della regina) che qui vi nidificano

Passo della Madonna

Passo della Madonna

“Rinvennero…una immagine della Vergine con Gesù morto nelle braccia, il che diede il nome al cosiddetto Passo della madonna, ove i fedeli eressero poi una piccola cappella”. Così scrive il Tranchina nella sua storia di Ustica.

Il termine “Passo” indica il piccolo viottolo, stretto e a strapiombo sulla cala, che un tempo collegava la contrada di Tramontana alla contrada Spalmatore.

Su questo luogo va citata una legenda tramandata dal Pitrè:

«Sopra un picco della montagna di Ustica, corrispondente all'attuale Passo della Madonna, sorgeva una volta una statua di Maria. Ora, al tempo che i barbareschi infestavano l’isola, un galeone di pirati approdò in quel posto per una delle solite scorrerie. Scesi i marinai e veduta la statua cominciarono a deriderla e di prenderla a bersaglio delle loro schioppettate. Ma al primo colpo tirato da uno di loro, la palla, ributtata, tornò come fulmine indietro, cadendo sul legno che colò immediatamente a fondo convertendosi in uno scoglio. Questo scoglio è comunemente inteso "lu bastimentu turcu", perché conserva la forma del galeone, sprofondato e piegato da un lato. A pochi passi ve n’è un altro molto più piccolo, che pare ed è ritenuto la sua lancia, pietrificata pur essa».

San Bartolicchio

San Bartolicchio

Col toponimo San Bartolicchio si individua la piccola porzione della contrada Oliastrello in prossimità della cappella omonima.

La storia di questo toponimo non è molto conosciuta e ha una base storica piuttosto recente.

Il 23 settembre del 1904 un violento temporale si abbatté sulle due contrade di Oliastrello e dello Spalmatore con una violenza mai vista prima risparmiando la zona del centro abitato.

In tale occasione vennero scoperchiate stalle e abitazioni, i buoi e gli asini sollevati in aria, grandi alberi vennero sradicati, si ebbero numerosi feriti e un confinato perse la vita. Insomma, una vicenda disastrosa per una piccola isola!

La salvezza della popolazione venne attribuita all'intervento di San Bartolomeo e ancora oggi, in ricordo di questo evento, in Contrada Oliastrello si svolge ogni anno, nella terza domenica di settembre, una festa religiosa locale con processioni, messa, balli e fuochi d'artificio chiamata proprio Festa di San Bartolicchio.

Nella foto si apprezza la Cappella di San Bartolicchio, che nel 1980 venne rivestita dalle ceramiche dell'artista palermitano Giovanni De Simone e che raffigurano la vicenda, con il Santo Patrono intento a proteggere l'Isola dall'uragano.

La Piazza

La Piazza

Piazza San Ferdinando, Piazza San Bartolomeo. Piazza Maddalena, Piazza Cap. Vito Longo, Piazza Umberto I°, Piazza della Vittoria. I nomi son tanti, ma la piazza è una, anzi era una. Ché adesso non c’è più e quel che di essa è rimasto ha tanti nomi. Si sta parlando della piazzetta di Ustica e della sua storia. 

sua storia. Realizzata dall’ingegner Valenzuola per incarico dei Borbone quando, nel 1763, si avviò l’ultima colonizzazione dell’isola la piazza fu uno strumento urbanistico a beneficio soprattutto della Chiesa, cui fu data una posizione centrale e preminente. Ma ebbe anche la funzione, propria delle piazze dei piccoli centri, di cuore pulsante della vita del paese. La piazza vera e propria era la parte antistante la Chiesa, ma vi era accorpata anche la parte più bassa (ora dedicata a Umberto I°) che la congiungeva al Chianu Maddalena includente l’attuale Piazza della Vittoria e lo spazio arredato a giardinetto innanzi Casa Calderaro.
http://www.centrostudiustica.it/images/PDF/pdf-copertine-rivista-lettera/Lettera-N.-13-14-Anno-V-Aprile-Agosto-2003/L13-14_Topo_PiazzaContesa_Ailara.pdf

Cala Giaconi

Cala Giaconi

Questa magica cala si trova nel versante Nord-Est, e deve il suo nome ai caratteristici ciottoli o "ciacuni" tipici del fondale della cala. Tuttavia questo è un toponimo che divide due scuole di pensiero, infatti alcuni autori come Salvatore d'Asburgo riportano il nome Giaconi, mentre i puristi della toponomastica usticese le attribuiscono il nome Ciaconi.

Contrada Spalmatore

Contrada Spalmatore

La Contrada dello Spalmatore si trova sul versante occidentale dell’isola, si estende dal Passo della Madonna al faro di Punta Cavazzi. Il toponimo "Espalmatore" si ritrova in un documento del 1759 con cui Re Ferdinando dettò le norme per la colonizzazione dell’isola. Il toponimo Spalmatore deriva dalla parola "spalmare". È un toponimo che si ritrova anche in altre località, utilizzato per indicare zone in cui era agevole tirare a secco le galere per la «spalmatura», l’operazione con cui si spalmava grasso di sego sull’opera viva delle imbarcazioni per renderle più idrodinamiche.

Cala del Cannone

Cala del Cannone

Si tratta di un toponimo non molto conosciuto in cui termine “cala” è utilizzato impropriamente in quanto si tratta in realtà di una insenatura in prossimità di Capo Falconiera.

Il primo a segnalare il toponimo Cala del Cannone è il Tranchina che nella sua storia di Ustica narra che in prossimità di Cala Falconiera un lancione «si ruppe e vi lasciò un cannone».

Nel mezzo dell'insenatura, a circa 20 metri dalla riva e alla profondità di 18 metri,

fu rinvenuto un cannone borbonico in bronzo. Tale cannone è stato collocato alla Rocca della Falconiera e riporta a rilievo sul fusto l'anno 1780 un’ancora (logo della Marina borbonica).

Era situato nel mezzo dell’insenatura Il cannone fu portato in superficie nel 1956 per iniziativa di Ercole Gargano e grazie all'opera (in apnea) di Camillo Padovani e all'ausilio del motoveliero di legno San Giuseppe di proprietà della famiglia Pitruzzella.

'U capparu

'U capparu

‘U capparu è un piccolo tratto della costa di Mezzogiorno dopo Punta dell’Arpa. Il toponimo deriva dall’arabo  Kabbar, cappero

Cfr. Lettera n. 3 del 1999 p. 29

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Falanga e Falanghedda di Siroti (Sidoti)

Falanga e Falanghedda di Siroti (Sidoti)

Falanga e Falanghedda sono due toponimi usticesi che con altri ricordano l’influenza linguistica degli arabi per la loro lunga permanenza in Sicilia e, probabilmente, per la frequentazione di Ustica da parte dei corsari del Maghreb che ne fecero il loro covo dal XV al prima metà del XVIII secolo.

Col termine falanga, falanghedda dall’arabo Falukah, si intende uno scoglio semisommerso o di un pontile d’imbarco.

A Ustica Falanga, Falanghedda d'i Siroti [di Sidoti] è chiamato lo scoglio in prossimità della punta che delimita Cala Sidoti, conosciuta dai bagnanti come scogli piatti; Falanga 'u Russu è invece lo scoglio alla base della Punta del Rosso presso la Cala Passo della Madonna.

Cfr. Lettera n. 3 del 1999 p. 29

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Via Vincenzo Di Bartolo

Via Vincenzo Di Bartolo

La via dedicata con  delibera podestarile del 16 giugno 1933 al grande navigatore usticese figura nella mappe antiche col toponimo di strada del Fallo. Così nella pianta del centro abitato di Francesco Sidoti  e in quella del catasto borbonico redatte nel 1852. Il nome originario trae origine dalla famiglia Fallo che in quella via abitavano. La famiglia Fallo figura nell’elenco delle famiglie eoliane che colonizzarono l’isola nel 1763: un Domenico Fallo nell’atto del 1769 è indicato assegnatario di «2 case nell’8vo tenimento di Ponente». Alla famiglia Fallo è riferito anche il toponimo Monte C.sta del Fallo.

Oggi la famiglia Fallo non è più presente a Ustica, mentre il cognome è molto diffuso nell’area di New Orleans dove i Fallo nella seconda metà dell’Ottocento sono emigrati. (AV)

Cfr Ailara Vito, Toponomastica, Via Vincenzo Di Bartolo, in «Lettera» n. 2, 1999, p. 32

Cfr. Mazzarella Salvatore, Il Capitano delle tre Isole, in Lettera  n. 2, 1999, pp. 1-15

Cfr. Contratto enfiteusi del 28 febbraio 1769 di assegnazione delle terre e delle aree per l’edificazione delle case (Arch.CSDU 21doc 2126)

Cfr. Raccolta delibere podestarili 1931-1935 in Segreteria Comune di Ustica

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Calvario, Via Calvario

Calvario, Via Calvario

Il toponimo Calvario figura nelle mappe di Ustica di Salvatore D'Ippolito del 1807,  di Don Michele Russo del 1810 e di Angelo Sidoti del 1852. È il primo monumento religioso edificato dai liparoti che colonizzarono l’isola nel 1763. Nel 1766 i coloni per invocare la pioggia eressero una croce sulle falde occidentali della Falconiera in posizione prominente rispetto il costruendo centro abitato. L’Arcivescovo di Palermo Serafino Filangeri con provvedimento del 7 novembre 1766 concesse indulgenze ai fedeli che vi sostavano in preghiera. L'assetto della via Calvario e l'altare ai piedi della croce vennero realizzati nei primi del 1769 e nel mese di aprile si liquidarono somme a Mastro Scibona  «per aver fatto la strada del Calvario levato tutta la quantità delli massi di pietra che incontrarono, portato detta strada a declivio e accomodatoci il limito di pietra in secco (...) Più fatto in fine di detta strada l'altare di fabrica [sic] con due scalini mattonato sopra longo palmi».  Nel luglio dello stesso anno fu acquistato il «crocefisso di carta pesta alto 7 palmi con sua croce di nodi e chiodi a triangolo» e, dall'anno successivo ebbero inizio le funzioni del Venerdì Santo così, come si svolgono ancora oggi con via crucis ed esposizione per tre ore del cristo di cartapesta in croce e successiva deposizione e processione dell’urna accompagnato dalla statua dell’Addolorata. In epoca successiva furono il sito è stato recintato da alto muro e aggiunte due croci più piccole ai lati della croce grande e, a fianco, un vano coperto che simboleggiava il sepolcro all’interno del quale per l’intera notte del Venerdì Santo i fedeli vegliavano pregando. Negli anni ’70 il “sepolcro” è stato demolito, le due croci laterali rimosse e sulle pareti interne al sito sono state alloggiati poste pannelli di ceramica per la via crucis.    

Il Calvario è stato anche un punto topografico di  attorno al quale hanno trovato soluzione alcune esigenze, alcune vitali per l’isola: la difesa e l'approvvigionamento idrico ed il culto dei morti. Dai suoi piedi, infatti, si dipana la stradina, aperta nel 1801, che collega agevolmente il Paese alle fortificazioni della Falconiera; nella stesa direzione si sviluppa la necropoli ellenistica e quella paleocristiana; alle sue spalle venne realizzato nel 1885 il primo grande cisternone, ancora attivo, e i collettori dell’acqua piovana raccolta dalla Falconiera; una strada laterale conduceva ad una delle cave di tufo compatto e consistente particolarmente frequentata per la produzione di conci. (AV)

De Marco Spata, Ustica costruzioni civili militari e religiosi nella seconda metà del 700, ed. Leopardi, Palermo, 1992.

Calvario,  in «Lettera» n. 1, 1999 pp. 29-30

Cfr. Lettera del 7 novembre 1766 dell’Arcivescovo di Palermo Serafino Filangeri in Libro dei battesimi Matrimoni e Defonti 1763-1769 della Parrocchia di Ustica

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News

  • 20/03/2016 mostra sul confino a Torino

    20/03/2016 mostra sul confino a Torino

    Presso il Museo del Carcere di Torino, via Borsellino n.3,Torino

    dal 19 marzo al 2 aprile 2016

    MOSTRA: Il confino politico a Ustica nel 1926-1927

    Presentata all'Istituto Peano di Torino nel mese di febbraio c.a. viene riproposta al pubblico, presso la prestigiosa sede del Museo del Carcere di Torino. La visita è libera e gratuita tutti giorni dalle 16,00 alle 17,30, mentre per chi visita il Museo rappresenta l'ultima tappa. La mostra è stata realizzata dal Centro studi e documentazione Isola di Ustica.

    MOSTRA Il sovversivo col farfallino a cura di Antonio De Vito e Domenico Leccisotti per l'associazione Storia Condivisa a Torino.

Mostre

  • L'Isola dei Vulcani

    Una raccolta di opere proveniente dal Museo Mormino di Villa Zito

    L'Isola dei Vulcani

    Una raccolta di rare e pregevoli opere pittoriche e bibliografiche, proveniente dal patrimonio storico-artistico del Museo Ignazio Mormino di Villa Zito a Palermo (Fondazione Banco di Sicilia), compone la mostra “L’Isola dei vulcani” esposta nel 2006 nei locali del vecchio Municipio.

    Cinquanta le opere esposte fra incisioni, gouaches e volumi illustrati che mettono ampiamente in risalto il fascino ed il mito che le eruzioni vulcaniche hanno sempre destato. Nella seconda metà del Settecento le scoperte archeologiche degli scavi di Ercolano e Pompei, la descrizione dei templi di Paestum fatta da Winckelmann, la serie delle incisioni che li illustravano eseguite da Gian Battista Piranesi, l’impossibilità di visitare la Grecia liberamente in quanto in mano all’Impero ottomano, la grande produzione di studi sulla Sicilia greca e l’evoluzione del gusto che vedeva nell’arte dell’antichità classica i modelli di una perfezione che bisognava instaurare nel mondo, spinsero molti poeti, pittori, nonché aristocratici e facoltosi borghesi ad affrontare il viaggio in Sicilia. Le rivelazioni dei viaggiatori, naturalisti e vulcanologi, ispirati dal razionalismo illuminista, da Patrick Brydone a William Hamilton, dal Compte de Borch a Déodat de Dolomieu, da Lazzaro Spallanzani a J. A. de Gourbillon, sulle ascensioni dell’Etna e dei vulcani delle Eolie, e le descrizioni del paesaggio, delle grandiosi eruzioni e dei fenomeni vulcanologici, alimentano un richiamo irresistibile per studiosi, geologi o eruditi alla ricerca dell’emozione e dell’avventura. Le immagini che maggiormente caratterizzano questa esposizione sui vulcani in Sicilia sono quelle delle opere pittoriche a la gouache, tecnica molto diffusa a Napoli nel vedutismo dei primi anni della Scuola di Posillipo tra Settecento e Ottocento e che riscuote successo anche in Sicilia quando le vicende storiche costringono la corte borbonica a trasferirsi da Napoli a Palermo.

    Non meno rilevanti sono il segno grafico e la forza espressiva che si ritrovano nelle vedute incise, come nelle acquetinte dei crateri in eruzione di Stromboli e di Vulcano mutuate da opere di Luigi Mayer; nelle rare acqueforti seicentesche che riprendono i crateri dell’Etna in eruzione, come nell’incisione a bulino di Franz Huys del 1632 Freti siculi sive Mamertini vulgo il faro…, ripresa da un’incisione di Pieter Brueghel, che compie un viaggio in Sicilia tra il 1552 e il 1556; nell’originale veduta dell’isola Ferdinandea sorta nel canale di Sicilia da attività vulcaniche sottomarine; nelle raffinate piccole acquetinte tratte dal resoconto di viaggio di J. B. Cockburn pubblicato nel 1815, nonché nelle vedute e carte geografiche che riguardano Ustica, anch’essa isola di origine vulcanica. In mostra erano inoltre presenti tredici volumi di grande interesse storico e iconografico quali, fra i più rilevanti, Campi Phlegrei, ou observation sur les volcans des Deux Sicilies di William Hamilton, pubblicato a Parigi nel 1799, le cui tavole comprendono 76 vedute, tutte colorate a mano all’acquerello e alla gouache, che illustrano i vulcani dell’Italia meridionale ed insulare, le più importanti coeve eruzioni; i due Voyage pittoresque des isles de Sicilie… di Jean Houel e di Richard de Saint-Non-Dominique Vivant Denon, pubblicati rispettivamente a Parigi tra il 1771 ed il 1787 e tra il 1781 e il 1786, nonché l’opera Die Liparischen Inselndi Ludovico Salvatore Asburgo-Lorena arciduca d’Austria, comprendente otto volumi per le sette isole Eolie e un volume interamente dedicato a Ustica, pubblicati a Praga da Heinr Mercy Sohn tra il 1893 e il 1898.

    Nel centenario della lunga sequenza sismica che colpì Ustica nel 1906, e che portò alla completa evacuazione della popolazione dell’isola tra marzo e aprile dello stesso anno per il timore di una ripresa dell’attività eruttiva, L’Isola dei vulcani ha voluto rappresentare anche un momento di studio e riflessione sulla difficile convivenza dell’uomo con le forze della natura.


    Per approfondimenti leggere l’articolo:
    * Francesco Buccheri, L’ Isola dei Vulcani, in Lettera n. 23-24 maggio-dicembre 2006.

    MO IsolaVulcani 03 Eruzione del Monte Etna in Sicilia Napoli 1807 Anonino

    MO IsolaVulcani 07 Etna 1830 Anonimo

    MO Isola dei vulcani

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